La doppia faccia della sofferenza: gli effetti della povertà alimentare sulla salute mentale
Oggi, 10 ottobre, è la Giornata Mondiale della Salute Mentale. Insieme alle organizzazioni partner, tocchiamo con mano ogni giorno realtà fragili, delicate, sofferenti, causate dalla povertà alimentare, una realtà che porta con sé un dolore fisico che, però, viene accompagnato da un altro tipo di dolore: quello emotivo. C’è infatti un’altra faccia della sofferenza fisica che troppo spesso viene sottovalutata o addirittura ignorata: è la sofferenza a livello psicologico che si aggiunge alle altre difficoltà e disagi già esistenti, e su cui noi oggi vogliamo accendere una luce grazie a Martina Pistone, Responsabile servizi Socio Assistenziali e Psicologa di Spazio 47, nostra organizzazione partner.
Se diamo uno sguardo alle tappe evolutive delle persone che vivono la terribile realtà della povertà alimentare, notiamo come quest’ultima sfoci «in disturbi comportamentali nei più piccoli, data l’assenza di risposte adeguate alla richiesta di essere visti e accuditi, e in ansia sociale negli adolescenti, non riuscendosi ad integrare all’interno di un gruppo», ci spiega Martina.
«Le famiglie che vivono in situazioni di povertà – aggiunge Martina - si caratterizzano per una mancanza di accudimento dovuta alla frammentazione e alla disorganizzazione dell’assetto familiare. Ma i disagi psicologici scaturiti dalla povertà alimentare si manifestano anche in tutte quelle persone che vivono la solitudine: c’è una noncuranza anche dei bisogni primari: persone anziane, ad esempio, che sono rimaste sole, hanno sviluppato una noncuranza di loro stessi. È un circolo quasi vizioso che si viene a creare».
La povertà alimentare afferma quindi le sue radici in terreni più profondi, fino ad arrivare a sviluppare ansia e depressione, disagi psicologici che si aggiungono a un quadro già complesso.
Ma quali sono gli effetti sullo sviluppo emotivo-relazionale di un bambino o di un giovanissimo che si creano quando vive in contesti di forte fragilità economica?
«A tal proposito – sottolinea Martina – c’è una riflessione sul tipo di attaccamento che si ha sulle figure genitoriali: con “accudimento” intendiamo una cura da un punto di vista emotivo, igienico, alimentare. Quando, però, non vi è una risposta adeguata da parte dei genitori, al bambino viene a mancare un bisogno al punto da sviluppare con il tempo patologie importanti che ostacolano un funzionale sviluppo della personalità. Da un punto di vista fisiologico, la deprivazione alimentare compromette il normale sviluppo cognitivo cerebrale, che viene favorito appunto anche dalle cure primarie».
Accanto a questa visione più personale è da attenzionare, però, anche quella sociale: «il cibo è intrinseco nella nostra cultura come un momento di condivisione, un’opportunità di aggregazione. Venendo a mancare tutto ciò, ci si sente senza un gruppo, emarginati, esclusi».
Martina, poi, ci racconta come Spazio 47 ha vissuto storie di situazioni di povertà alimentare. «Nel Centro aggregativo Citta dei ragazzi, a Catania nel quartiere storico di San Cristoforo, accogliamo spesso bambini che non hanno l’opportunità di festeggiare il compleanno, che non possono vivere momenti di spensieratezza. Il più delle volte chi vive fragilità economica ed alimentare diventa aggressivo, ha disturbi comportamentali. La nostra risposta è ricreare un tempo di normalità, donando una festa, ma anche e soprattutto, costruendo un lavoro educativo e di accompagnamento con i genitori. Il lavoro con le mamme è fondamentale, con loro ricostruiamo il ruolo di genitore partendo dal bisogno della persona, cioè da come prima di essere una mamma occorre essere una persona in equilibrio con le proprie emozioni, doveri, bisogni».
Nonostante notiamo quanto il benessere psicologico possa rivelarsi tanto invalidante, esiste ancora oggi un tabù attorno alla salute mentale, tabù che diventa ancora più profondo quando parliamo di contesti di fragilità. «Questo succede per diversi motivi – approfondisce Martina – per gli stessi pregiudizi sul ricevere un aiuto psicologico, perché non c’è la percezione del problema, o perché c’è proprio un rifiuto nell’ammettere di avere bisogno di aiuto. Bisogna allora accompagnare la persona all’accettazione dell’aiuto e del proprio momento di difficoltà; se non c’è un’accettazione di aiuto, il percorso non può essere ricostruito».
Grazie, Martina, per averci illuminato sull’importanza di prendersi cura del proprio benessere psicologico, per averci spiegato una realtà purtroppo ancora presente in tantissime famiglie italiane, e per averci dato uno sguardo multiforme sui disagi che la povertà alimentare si porta dietro.
A tutte le persone che sentono di aver bisogno di un supporto psicologico, un aiuto per stare bene… vogliamo dire di: chiedere aiuto, senza vergogna.